Dolore cronico: quando il corpo non riesce più a spegnere l’allarme

dolore cronico

Dalla neurofisiologia ai fattori biopsicosociali che mantengono il dolore nel tempo

Il dolore è un segnale vitale: ci avverte che qualcosa non va e ci spinge a proteggerci.
Quando però questo segnale persiste oltre il tempo necessario alla guarigione, il sistema di allarme del corpo smette di funzionare correttamente. È in questo momento che il dolore diventa cronico.

Dal dolore acuto alla sensibilizzazione cronica

Nel dolore acuto, la risposta infiammatoria è di tipo angioflogosico: una reazione vascolare utile e temporanea, che favorisce la guarigione attraverso la vasodilatazione, l’aumento della permeabilità capillare e il richiamo di cellule immunitarie.
Quando però questa fase non si risolve, può instaurarsi una istoflogosi, cioè un’infiammazione tissutale più profonda e persistente.
In questa condizione, le fibre nervose periferiche e i centri superiori diventano ipersensibili, generando una condizione di sensibilizzazione periferica e centrale: il corpo continua a percepire dolore anche in assenza di un danno reale o proporzionato.

Il dolore cronico riflette un’alterazione dei meccanismi di modulazione del dolore: un allarme che resta acceso anche quando il pericolo è ormai passato.

Il modello biopsicosociale

Oggi sappiamo che il dolore cronico nasce dall’interazione complessa tra fattori biologici, psicologici e sociali.

Un approccio realmente efficace deve considerare tutti questi aspetti contemporaneamente.

  • Biologico: cambiamenti nei sistemi nervoso e immunitario, neuroplasticità, alterazioni ormonali.
  • Psicologico: ansia, paura del movimento, stress e insonnia che amplificano la percezione dolorosa.
  • Sociale: isolamento, carico lavorativo o relazionale eccessivo, mancanza di supporto.

In pratica, il cervello continua a mantenere “attivo l’allarme” perché l’intero sistema non riesce più a riconoscere la fine della minaccia.

Il legame tra careseeker e caregiver

In molti casi di dolore cronico si instaura un circuito relazionale tra chi soffre (careseeker) e chi si prende cura (caregiver).
Il paziente tende a cercare rassicurazione e sollievo costante, mentre il professionista risponde con empatia e intervento.
Questa dinamica, se protratta nel tempo, può inconsciamente rinforzare la dipendenza dal sintomo.

Il modo in cui il dolore viene comunicato e accolto può modificare la sua stessa intensità e durata.
L’obiettivo del professionista diventa quindi quello di guidare il paziente verso un ruolo attivo, favorendo consapevolezza, movimento e autonomia nel percorso di recupero.

Un approccio globale e personalizzato

Nel dolore cronico non esiste una terapia unica: la soluzione risiede nell’integrazione di diversi strumenti.
L’osteopatia, attraverso il trattamento manuale, può favorire una migliore modulazione neuromuscolare, migliorare la circolazione locale e riequilibrare il tono neurovegetativo.
Integrata con esercizio mirato, educazione al movimento e supporto psicologico quando necessario, permette di lavorare in modo globale sulla persona, non solo sul sintomo.

L’obiettivo non è semplicemente “togliere il dolore”, ma restituire equilibrio, controllo e fiducia nel proprio corpo.

Descrizione

Il dolore cronico non è solo un sintomo, ma il risultato di un sistema che ha perso la capacità di autoregolarsi. Scopri come fattori biologici, psicologici e relazionali contribuiscono al mantenimento del dolore e come un approccio osteopatico integrato può aiutare a ristabilire equilibrio e funzionalità.

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